Quando abbiamo fondato il Movimento Artistico Videopoeticao (M.A.V.) a luglio del 2021 nato dalla passione di videomaker e videopoeti, ci siamo posti come obiettivo la tutela della videopoesia, in primis, rispetto ad altre espressioni artistiche che la stavano letteralmente fagocitando.
Innanzitutto, bisognava stabilire che cosa fosse la videopoesia, visto che il termine non esisteva neppure sul dizionario ed erano molte le espressioni artistiche denominate “videopoesia” che invece erano ben altra cosa, appartenendo ad altri segmenti della videoarte.
Sulla scorta delle nostre esperienze anche come giurati di molti concorsi letterari, abbiamo individuato la definizione della videopoesia e cioè la trasfigurazione di un testo poetico in un video della durata non inferiore a 1’ 30” a un massimo di 4 minuti, compresi i titoli di apertura e di coda, definizione riportata su nostro suggerimento sulla Treccani.
Questo è ciò che ci detta la nostra pluriennale esperienza, ma avevamo bisogno di capire come eravamo giunti a questa conclusione.
Abbiamo iniziato quindi a indagare sulle origini della videopoesia e cosi siamo venuti a conoscenza del Manifesto sulla videopoesia dell'artista canadese Tom Konyves.
Gli abbiamo chiesto un confronto in videocall ed abbiamo riscontrato grosse differenze, in quanto diversamente dal M.A.V., secondo Konyves, il testo poetico ha eguale importanza degli altri elementi, che possono non avere alcuna parvenza poetica singolarmente, che viene acquisita in seconda battuta se tali elementi vengono assiemati in modo sinergico. Il testo non è necessariamente un testo poetico (come afferma Konyves può essere per esempio anche l'annuncio dello speaker in un aeroporto). Diventa videopoesia quando i vari elementi (testo cinetico, testo sonoro, testo visuale, performance, cinepoesia (con immagini elettroniche) vengono assiemati in un certo modo. Si trattava di un concetto di videopoesia, agli antipodi del nostro, per cui abbiamo continuato le nostre ricerche fino a quando non siamo incappati in Gianni Toti.
Da subito, ci siamo riconosciuti nel suo modo di intendere la videopoesia e nelle sue parole, ritroviamo i nostri stessi concetti di videopoesia, con il testo poetico che resta alla base della videopoesia e si fonde con il linguaggio video, con stimolazione reciproca, ove il tutto è superiore alla somma delle parti, la compenetrazione tra poesia e immagine, far diventare la poesia virtuale, trasformarla in immagine, considerare il verso come unità visiva e lo schermo che diventa la pagina.,
Uno dei neologismi in cui il nostro Movimento si riconosce è ”Poetronica” cioè la poesia espressa con i linguaggi dell'elettronica ed è questo il nostro modus operandi.
Da qui, l'esigenza di conoscere nel dettaglio la personalità artistica di Gianni Toti.
Ma chi era Gianni Toti?
Lo abbiamo chiesto a Silvia Moretti, responsabile della Biblioteca Totiana di Alatri.
Gianni Toti amava definirsi “poetronico”, poeta che si esprime con i linguaggi dell’elettronica. Nato nel 1924 a Roma, il suo approdo alla videopoesia avviene alla fine degli anni Settanta, quando all’interno del Settore Ricerca e Sperimentazione Programmi della Rai, viene rivolta anche a lui una domanda: “si può fare poesia in televisione?”
Diversamente da altri poeti, per Gianni Toti la videopoesia non è declamazione di versi a favore dello schermo, ma una forma espressiva a sé in cui testo, immagine in movimento, suono, voce, musica si fondono in un dialogo sintetico e sinestetico. È lui stesso a coniare i neologismi “sinesteatronica” e “poetronica”. Prima di fare il salto ai linguaggi elettronici (e poi digitali), Gianni Toti è stato giornalista, saggista, direttore di riviste, cineasta, poeta e romanziere. È stato, e non ha smesso di essere, scrittore di tutte le scritture. La parola scritta per Toti è sempre stata un’unità visiva, prima ancora che di significato, da mettere in relazione con la pagina. E la pagina uno schermo, una superficie con bordi e confini da scardinare attraverso la messa in movimento della parola. Le parole vengono scosse, rotte, inventate, reimmaginate da Toti attraverso un’insistente ricerca di un nuovo ordine morfosintattico e la rottura dell’ordine sequenziale lineare della scrittura e della lettura. Quando si trova davanti alla consolle elettronica, affiancato da tecnici e montatori Rai, Toti dichiara “la mia fantasia prefigurava le arti elettroniche”: titolatrice, mixer e memoria di quadro, distorsioni, feedback e oscillo o vectorscopi, gli permettono di mettere a punto un nuovo alfabeto e nuove figure del discorso. Nasce “Per una videopoesia. Improvvideazione e concertesto per mixer, memoria di quadro e oscillovectorscopio” (1980), un’infilata di piccoli esperimenti videopoetici della durata di 2-3 minuti l’uno, pensati come brevi riempitivi palinsestuali ma praticamente mai messi in onda. Da uomo che proviene dalla pagina scritta, Toti continua ad essere guidato nel processo creativo da proprie suggestioni testuali. Raramente la parola letta prevarica la sperimentazione complessiva in cui interviene compositivamente lo strumento tecnologico, con le sue potenzialità portate sino all’esasperazione, ma anche l’errore imprevisto.
Dopo alcune esplorazioni di genere, dalla videopoesia ai videopoemetti, e poi la videodanza, il videoracconto, il videosaggio, dalla fine degli anni Ottanta in poi, Toti concepisce VideoPoemOpere, opere d’arte totale in cui suono, parola, immagine, movimento si fondono in forma perlopiù di lunga durata, sinfonica, spesso con sviluppi in più atti o tempi. Le tecnologie sono da lui concepite come straordinari acceleratori di pensiero, spingono oltre le possibilità della sua immaginazione creativa. Inarrestabile prosegue la sua ricerca linguistica ed espressiva, soprattutto in Francia al CICV, Centre International de Création Video Pierre Schaeffer.
Gianni Toti muore nel 2007: ha realizzato complessivamente una ventina di opere in video, oltre ad aver pubblicato più di dodici raccolte poetiche, due romanzi, tre raccolte di racconti, e diretto collane editoriali e riviste. La documentazione di tutta la sua attività, dai master audiovisivi agli appunti compositivi, storyboard, paratesti teorici e non, è conservata e disponibile alla consultazione presso la Biblioteca Totiana ad Alatri, in provincia di Frosinone, insieme al suo fondo librario di oltre 15.000 volumi.
Per approfondire:
Sandra Lischi – Silvia Moretti (a cura di), Gianni Toti o della poetronica, Ets, Pisa 2012 – ristampa aggiornata 2024
Silvia Moretti, Gianni Toti. Prime sperimentazioni di un poetronico, Engramma, n. 145 – maggio 2017 – disponibile online: https://www.engramma.it/eOS/index.php?id_articolo=3121
Anna Barenghi, La struttura di sperimentazione Rai, dal 1968 al 1987, in «bianco & nero», n. 1-2, gennaio- agosto 2007, pp. 169-179
Gianni Toti, Occorrenze minimali per la videopoesia, 23 luglio 1979 (dattiloscritto) – disponibile online: https://webzine.sciami.com/gianni-toti-occorrenze-minimali-per-la-videopoesia/
Innanzitutto, bisognava stabilire che cosa fosse la videopoesia, visto che il termine non esisteva neppure sul dizionario ed erano molte le espressioni artistiche denominate “videopoesia” che invece erano ben altra cosa, appartenendo ad altri segmenti della videoarte.
Sulla scorta delle nostre esperienze anche come giurati di molti concorsi letterari, abbiamo individuato la definizione della videopoesia e cioè la trasfigurazione di un testo poetico in un video della durata non inferiore a 1’ 30” a un massimo di 4 minuti, compresi i titoli di apertura e di coda, definizione riportata su nostro suggerimento sulla Treccani.
Questo è ciò che ci detta la nostra pluriennale esperienza, ma avevamo bisogno di capire come eravamo giunti a questa conclusione.
Abbiamo iniziato quindi a indagare sulle origini della videopoesia e cosi siamo venuti a conoscenza del Manifesto sulla videopoesia dell'artista canadese Tom Konyves.
Gli abbiamo chiesto un confronto in videocall ed abbiamo riscontrato grosse differenze, in quanto diversamente dal M.A.V., secondo Konyves, il testo poetico ha eguale importanza degli altri elementi, che possono non avere alcuna parvenza poetica singolarmente, che viene acquisita in seconda battuta se tali elementi vengono assiemati in modo sinergico. Il testo non è necessariamente un testo poetico (come afferma Konyves può essere per esempio anche l'annuncio dello speaker in un aeroporto). Diventa videopoesia quando i vari elementi (testo cinetico, testo sonoro, testo visuale, performance, cinepoesia (con immagini elettroniche) vengono assiemati in un certo modo. Si trattava di un concetto di videopoesia, agli antipodi del nostro, per cui abbiamo continuato le nostre ricerche fino a quando non siamo incappati in Gianni Toti.
Da subito, ci siamo riconosciuti nel suo modo di intendere la videopoesia e nelle sue parole, ritroviamo i nostri stessi concetti di videopoesia, con il testo poetico che resta alla base della videopoesia e si fonde con il linguaggio video, con stimolazione reciproca, ove il tutto è superiore alla somma delle parti, la compenetrazione tra poesia e immagine, far diventare la poesia virtuale, trasformarla in immagine, considerare il verso come unità visiva e lo schermo che diventa la pagina.,
Uno dei neologismi in cui il nostro Movimento si riconosce è ”Poetronica” cioè la poesia espressa con i linguaggi dell'elettronica ed è questo il nostro modus operandi.
Da qui, l'esigenza di conoscere nel dettaglio la personalità artistica di Gianni Toti.
Ma chi era Gianni Toti?
Lo abbiamo chiesto a Silvia Moretti, responsabile della Biblioteca Totiana di Alatri.
Gianni Toti amava definirsi “poetronico”, poeta che si esprime con i linguaggi dell’elettronica. Nato nel 1924 a Roma, il suo approdo alla videopoesia avviene alla fine degli anni Settanta, quando all’interno del Settore Ricerca e Sperimentazione Programmi della Rai, viene rivolta anche a lui una domanda: “si può fare poesia in televisione?”
Diversamente da altri poeti, per Gianni Toti la videopoesia non è declamazione di versi a favore dello schermo, ma una forma espressiva a sé in cui testo, immagine in movimento, suono, voce, musica si fondono in un dialogo sintetico e sinestetico. È lui stesso a coniare i neologismi “sinesteatronica” e “poetronica”. Prima di fare il salto ai linguaggi elettronici (e poi digitali), Gianni Toti è stato giornalista, saggista, direttore di riviste, cineasta, poeta e romanziere. È stato, e non ha smesso di essere, scrittore di tutte le scritture. La parola scritta per Toti è sempre stata un’unità visiva, prima ancora che di significato, da mettere in relazione con la pagina. E la pagina uno schermo, una superficie con bordi e confini da scardinare attraverso la messa in movimento della parola. Le parole vengono scosse, rotte, inventate, reimmaginate da Toti attraverso un’insistente ricerca di un nuovo ordine morfosintattico e la rottura dell’ordine sequenziale lineare della scrittura e della lettura. Quando si trova davanti alla consolle elettronica, affiancato da tecnici e montatori Rai, Toti dichiara “la mia fantasia prefigurava le arti elettroniche”: titolatrice, mixer e memoria di quadro, distorsioni, feedback e oscillo o vectorscopi, gli permettono di mettere a punto un nuovo alfabeto e nuove figure del discorso. Nasce “Per una videopoesia. Improvvideazione e concertesto per mixer, memoria di quadro e oscillovectorscopio” (1980), un’infilata di piccoli esperimenti videopoetici della durata di 2-3 minuti l’uno, pensati come brevi riempitivi palinsestuali ma praticamente mai messi in onda. Da uomo che proviene dalla pagina scritta, Toti continua ad essere guidato nel processo creativo da proprie suggestioni testuali. Raramente la parola letta prevarica la sperimentazione complessiva in cui interviene compositivamente lo strumento tecnologico, con le sue potenzialità portate sino all’esasperazione, ma anche l’errore imprevisto.
Dopo alcune esplorazioni di genere, dalla videopoesia ai videopoemetti, e poi la videodanza, il videoracconto, il videosaggio, dalla fine degli anni Ottanta in poi, Toti concepisce VideoPoemOpere, opere d’arte totale in cui suono, parola, immagine, movimento si fondono in forma perlopiù di lunga durata, sinfonica, spesso con sviluppi in più atti o tempi. Le tecnologie sono da lui concepite come straordinari acceleratori di pensiero, spingono oltre le possibilità della sua immaginazione creativa. Inarrestabile prosegue la sua ricerca linguistica ed espressiva, soprattutto in Francia al CICV, Centre International de Création Video Pierre Schaeffer.
Gianni Toti muore nel 2007: ha realizzato complessivamente una ventina di opere in video, oltre ad aver pubblicato più di dodici raccolte poetiche, due romanzi, tre raccolte di racconti, e diretto collane editoriali e riviste. La documentazione di tutta la sua attività, dai master audiovisivi agli appunti compositivi, storyboard, paratesti teorici e non, è conservata e disponibile alla consultazione presso la Biblioteca Totiana ad Alatri, in provincia di Frosinone, insieme al suo fondo librario di oltre 15.000 volumi.
Per approfondire:
Sandra Lischi – Silvia Moretti (a cura di), Gianni Toti o della poetronica, Ets, Pisa 2012 – ristampa aggiornata 2024
Silvia Moretti, Gianni Toti. Prime sperimentazioni di un poetronico, Engramma, n. 145 – maggio 2017 – disponibile online: https://www.engramma.it/eOS/index.php?id_articolo=3121
Anna Barenghi, La struttura di sperimentazione Rai, dal 1968 al 1987, in «bianco & nero», n. 1-2, gennaio- agosto 2007, pp. 169-179
Gianni Toti, Occorrenze minimali per la videopoesia, 23 luglio 1979 (dattiloscritto) – disponibile online: https://webzine.sciami.com/gianni-toti-occorrenze-minimali-per-la-videopoesia/
Per informazioni scrivere a [email protected]